Celle di Combustione
Primi passi verso nuove fonti energetiche
I primi esperimenti vennero fatti da Sir William Robert Grove nel 1839 sulla base del lavoro teorico sviluppato da Christian Friedrich Schönbein, con elettrodi porosi di platino ed acido solforico come bagno elettrolita. La miscela di idrogeno ed ossigeno, in presenza di un elettrolita, produceva elettricità e, come unico scarto d'emissione, acqua. Sfortunatamente non producevano abbastanza elettricità da essere utili all'epoca. William White Jaques usò invece, come bagno elettrolita, acido fosforico al posto dell'acido solforico, ma i risultati furono scarsi.
La svolta avvenne nel 1932 con il Dr. Francis T. Bacon: invece di utilizzare elettrodi porosi in platino, molto costoso, ed acido solforico, assai corrosivo, come bagno elettrolita, il Dr. Bacon decise di utilizzare un elettrodo poco costoso in nickel ed un elettrolita alcalino meno corrosivo. Perfezionò il suo progetto fino al 1959, dimostrandone l'efficacia con una saldatrice alimentata da una pila da 5 kilowatt e la chiamò "Cella Bacon".
Già nell'ottobre del 1959, Harry Ihrig, un ingegnere della Allis-Chalmers, mostrò un trattore da 20 cavalli alimentato da pile a combustibile: questo fu il primo veicolo alimentato con questa fonte energetica.
Pochi anni dopo, nella prima metà degli anni sessanta, la statunitense General Electric produsse un sistema che aveva il fine di generare energia elettrica basato sulle celle a combustibile e destinato alle navicelle spaziali Gemini ed Apollo della NASA: i principi della "Cella Bacon" servirono da base per questo progetto.
L'elettricità per lo Shuttle era fornita da celle a combustibile, ed alcune di queste celle provvedevano anche alla creazione d'acqua per l'equipaggio.
I primi impianti a celle a combustibile per uso domestico sono stati collaudati per la prima volta nel progetto urbanistico del quartiere ecosostenibile di Hammarby Sjöstad a Stoccolma, che ha preso avvio nei primi anni novanta.
Pila a combustibile
Una pila a combustibile (detta anche cella a combustibile dal nome inglese fuel cell) è un dispositivo elettrochimico che permette di ottenere energia elettrica direttamente da certe sostanze, tipicamente da idrogeno ed ossigeno, senza che avvenga alcun processo di combustione termica.
L'efficienza o rendimento delle pile a combustibile può essere molto alta; però, alcuni fenomeni, come la catalisi e la resistenza interna, pongono limiti pratici alla loro efficienza.
Il principio alla base delle pile a combustibile è quello della generazione diretta, a partire dalle sostanze reagenti (per esempio idrogeno ed ossigeno), di una forza elettromotrice per mezzo di una reazione elettrochimica, in modo analogo alle pile elettriche, anziché attraverso processi di conversione di energia, come si fa invece nei generatori elettrici azionati da macchine a combustione termica. Infatti, il calore generato dalla combustione non può essere completamente convertito in elettricità a causa dei limiti imposti dal teorema di Carnot, che consegue dal secondo principio della termodinamica: in base a esso, il massimo rendimento termodinamico η, che rappresenta l'efficienza di una macchina termica che opera tra una temperatura più alta T_1 a e una temperatura più bassa T_2 (per esempio l'ambiente), vale: η = 1 − (T_2/ T_1)
Anche nelle macchine termiche più efficienti, quali le turbine a gas combinate con turbine a vapore, a causa dei limiti dei materiali di costruzione raramente il rendimento può sfiorare il 60%, e questo può avvenire solo su impianti a ciclo combinato di ultima generazione: nei motori alternativi a combustione interna delle più moderne automobili l'efficienza è spesso al di sotto del 30%.
Produzione di energia a partire dall'idrogeno: alla fine del ciclo si producono energia ed acqua pura.
La conversione elettrochimica
La reazione elettrochimica si basa sull'idea di spezzare le molecole del combustibile o del comburente (di solito ossigeno atmosferico) in ioni positivi ed elettroni: questi ultimi, passando da un circuito esterno, forniscono una corrente elettrica proporzionale alla velocità della reazione chimica, utilizzabile per qualsiasi scopo.
In pratica, la scelta dei combustibili è molto limitata perché ionizzare molte molecole è difficile e la reazione risulta spesso bisognosa di una grande energia di attivazione, che a sua volta rallenta la reazione e rende l'uso pratico impossibile. L'idrogeno è un gas in grado di essere ionizzato facilmente perché la sua molecola è costituita da due atomi legati da un legame relativamente debole (H-H) , molto più debole, per esempio, di quello tra atomi di idrogeno e carbonio nella molecola del metano CH4. Il comburente più tipicamente usato è l'ossigeno dell'aria: non solo reagisce con l'idrogeno dando un prodotto innocuo come l'acqua, ma è anche disponibile in abbondanza e gratuitamente nell'atmosfera. Tuttavia, il doppio legame (O=O) tra gli atomi nella molecola dell'ossigeno è più forte che nel caso della molecola di idrogeno, e l'ossigeno rappresenta spesso un ostacolo maggiore nella catalisi delle reazioni elettrochimiche; si parla, in gergo tecnico, di sovratensione catodica, visto che l'ossigeno viene consumato al catodo della cella, e che una parte della tensione generata dalla cella viene assorbita per promuovere la reazione dell'ossigeno.
Problemi connessi all'uso dell'idrogeno nelle pile a combustibile
I problemi connessi all'uso dell'idrogeno come combustibile sono essenzialmente la sua scarsa densità energetica su base volumetrica (mentre è notevole su base massiccia), che richiede, per il suo stoccaggio, cilindri in pressione, uno stoccaggio criogenico a 20 kelvin oppure l'uso di metodologie di confinamento tramite spugne ad idruri metallici: nessuna di queste soluzioni risolve completamente il problema dello stoccaggio. Questa difficoltà ha stimolato vari filoni di ricerca, alcuni dei quali rivolti a sostituire come combustibile l'idrogeno a favore di altri tipi di combustibili, quali il metanolo e l'acido formico; con questi combustibili, la densità di potenza prodotta dalla pila è più ridotta rispetto all'uso del solo idrogeno, relegando le applicazioni possibili al solo campo della elettronica (in particolare cellulari e laptop).
Alternativamente all'uso diretto del metanolo, è possibile un processo di trasformazione (reforming) in idrogeno, ma in tale processo si produce anche CO, un composto che anche in piccole quantità (poche ppm) può portare al completo blocco di funzionamento delle celle. L'ingombrante equipaggiamento di purificazione necessario per evitare la presenza di monossido di carbonio aumenta la complessità del sistema con una parallela riduzione delle prestazioni.
Un problema molto forte che riguarda l'utilizzo dell'idrogeno nelle pile a combustibile è il fatto che lo stesso idrogeno, essendo un combustibile artificiale e più precisamente un vettore energetico, deve essere prodotto somministrando energia al sistema (energia in entrata che può essere ad esempio l'energia chimica contenuta in un combustibile fossile che serve per produrre energia elettrica da utilizzare poi per ottenere idrogeno dall'acqua), la stessa energia che, a meno delle inevitabili perdite energetiche durante il processo di fabbricazione dell'idrogeno, è quella immagazzinata nell'idrogeno stesso così ottenuto, con la conseguenza che nel bilancio energetico finale, tenendo conto dei vari rendimenti della filiera energetica (impianto produzione energia → impianto fabbricazione idrogeno → pila a combustibile), una cospicua parte dell'energia in entrata viene inevitabilmente persa (si può arrivare a perdere oltre il 70% dell'energia in entrata a seconda dei metodi di produzione dell'idrogeno). Questa è una delle principali cause che a tutt'oggi impedisce l'utilizzo su vasta scala dell'idrogeno ottenuto per elettrolisi dell'acqua, soprattutto nel campo della locomozione.
Nel caso di uso del solo idrogeno, la sicurezza del sistema è spesso citata come un grave problema, ma nell'uso operativo, se si adottano particolari accorgimenti come l'utilizzo di fonti di idrogeno a rilascio controllato (quali gli idruri metallici), l'idrogeno può essere più sicuro della benzina.
Pile a membrana a scambio protonico
Le pile a combustibile più note sono le pile a membrana a scambio protonico, o "PEM". In esse, l'idrogeno si separa in protoni ed elettroni sull'anodo; i protoni possono passare attraverso la membrana per raggiungere il catodo, dove reagiscono con l'ossigeno dell'aria, mentre gli elettroni sono costretti a passare attraverso un circuito esterno per raggiungere il catodo e ricombinarsi, fornendo potenza elettrica. Il catalizzatore presente sugli elettrodi è quasi sempre il platino, in una forma o in un'altra.
Variazioni sul tema delle PEM sono le celle che possono essere alimentate direttamente con metanolo o acido formico, utilizzati come combustibili liquidi. Entrambi i tipi di pila hanno basse densità di potenza e sono adatti soprattutto alle applicazioni di bassa potenza e quando sicurezza o praticità impediscono l'uso di gas, come nella microelettronica. Le pile ad acido formico, inoltre, non usano un catalizzatore anodico al platino, ma uno al palladio perché la reazione da promuovere è diversa.
Pile a ossido solido
Le pile a ossido solido (SOFC) lavorano ad altissime temperature (da 800 a 1.000 °C) e sono costituite da materiali ceramici, la cui fragilità di solito ne sconsiglia l'uso in applicazioni mobili; inoltre, il loro avvio è molto lento, e necessita di circa 8 ore: sono quindi pensate soprattutto per la generazione stazionaria di elettricità. In esse, l'ossigeno passa attraverso un materiale ceramico (zirconia drogata con ossido d'ittrio) per raggiungere il combustibile.
I combustibili nelle pile a ossido solido possono essere diversi: oltre all'idrogeno, anche gli idrocarburi e perfino il monossido di carbonio possono generarvi elettricità. Gli idrocarburi possono effettuare il cosiddetto "reforming interno", grazie alle alte temperature raggiunte: l'alta temperatura può anche essere utilizzata a valle dalla pila in un ciclo termico, ottenendo un impianto combinato.
Produzione industriale e costi
Una grande parte del costo delle pile a combustibile è dovuta al processo di produzione attualmente seguito, fondamentalmente artigianale e su ordinazione. I clienti sono spesso istituti di ricerca, e non automobilisti: è quindi ampiamente fondata la voce secondo cui il giorno in cui le pile a combustibile verranno adottate su larga scala i prezzi precipiteranno.
Il costo del platino necessario alle pile a bassa temperatura è in realtà una piccola parte del costo di fabbricazione, grazie alle moderne tecniche di dispersione del catalizzatore. Però, va sottolineato come, anche con queste tecniche che permettono di usare meno catalizzatore, la sostituzione di tutto il parco veicoli mondiale con veicoli a pile a combustibile necessiterebbe una quantità di platino ampiamente superiore (si stima un fattore di circa 4) alle riserve planetarie. Al momento, una ampia parte del costo è dovuta alle piastre bipolari: queste sono contemporaneamente il lato catodico di una cella e quello anodico della successiva, e fanno passare attraverso canali tortuosi (per aumentare la turbolenza e accelerare la diffusione) l'aria da un lato e il combustibile dall'altro. Il materiale non è in sé costoso, ma il processo di lavorazione è lungo e laborioso.
La praticità e l'affidabilità raggiunta in circa un secolo di sviluppo dai motori a combustione interna non sono facilmente raggiungibili da una tecnologia che solo recentemente è stata adattata all'uso su quattro ruote. Tuttavia, i progressi si succedono in continuazione, e alcuni paesi (soprattutto l'Islanda, ricca di energia ma senza riserve di petrolio) sono particolarmente attivi nel sostegno alla ricerca. Una buona parte dei problemi in questo ambito non riguarda direttamente le pile, ma lo stoccaggio dell'idrogeno a bordo del veicolo. In generale, ci sono cinque modi principali di stoccare idrogeno su un veicolo:
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Gas compresso: le bombole più recenti possono resistere fino a una pressione nominale di 70 MPa (700 volte la pressione atmosferica), usando materiali compositi. C'è stato uno sviluppo impressionante negli ultimi anni, nei quali la massima pressione ammissibile in questi contenitori è passata da 20, a 30, a 70 MPa. Sono adatti per mezzi a uso irregolare e di piccole dimensioni (scooter, automobili private).
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Idrogeno liquido: il contenitore è in pratica un grosso termos. L'idrogeno liquido deve rimanere a una temperatura di 20 K, (-253 °C). L'uso di idrogeno liquido evita il problema di avere una bombola in pressione e permette di utilizzare contenitori più grandi. Un problema critico è l'isolamento termico, il quale deve essere il più efficiente possibile, perché, se lasciata inattiva per un certo periodo di tempo, la riserva di idrogeno inizierà a produrre pressione, che andrà rilasciata nell'atmosfera bruciando l'idrogeno eccedente con un sistema automatico. Per questo motivo l'idrogeno liquido è più adatto a veicoli dall'uso regolare e di grandi dimensioni (camion, bus); inoltre, sarebbe un buon metodo di conservazione dell'idrogeno nelle stazioni di servizio.
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Metanolo: una soluzione di metanolo (CH3OH) molto diluita si può ben prestare ad alimentare le celle a metanolo diretto (Direct Methanol Fuel Cell, DMFC). La densità di potenza stimata nel 2003 è scarsa per le applicazioni veicolari ma interessante per l'alimentazione di dispositivi portatili. Il doppio vantaggio degli auspicabili sviluppi nell'autotrazione è di poter appoggiare questa tecnologia all'attuale infrastruttura di distribuzione del carburante e di non dover disporre di un reformer a bordo per la produzione di idrogeno.
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Idruri metallici: l'idrogeno reagisce con una serie di metalli (alluminio, boro, magnesio ecc.) e le loro combinazioni per formare idruri in condizioni normali. La reazione genera un po' di calore, e, in alcuni casi, risulta sorprendentemente in una maggiore densità di idrogeno per volume di idruro che nello stesso idrogeno liquido. Tuttavia, per rilasciare l'idrogeno è necessario l'apporto di calore, che non è sempre disponibile all'avvio di un'automobile. Durante l'uso, il calore può essere fornito dalla pila a combustibile stessa. Gli idruri sono una tecnologia nuova che non è altrettanto semplice come le due precedenti, ma offre ampi margini di miglioramento.
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Nanotubi di carbonio: dopo un periodo di grande entusiasmo iniziale, fomentato da sorprendenti risultati sperimentali indicati da alcuni autori, si è scoperto che i dati iniziali non erano riproducibili (cioè erano errati, o peggio falsificati). La necessità di temperature bassissime per l'assorbimento dell'idrogeno (60 kelvin) nei tubi e la scarsa comprensione di come questi potrebbero essere prodotti su scala industriale ha portato a una rapida diminuzione dell'interesse per questa forma di stoccaggio.