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 Cosa sono i chip?

  Sistema Top-Down e Transistor

Il primo transistor fu messo a punto nel 1947: era un piccolo cilindretto con dei fili della dimensione di una pillola. Questo fu il primo passo per abbattere le barriere geografiche e temporali di comunicazione: infatti, il suo scopo era quello di amplificare il segnale sempre di più. In questo modo, tutti quegli oggetti a valvole che dovevano essere scaldati prima di funzionare andarono sparendo a seguito di quegli anni. La scoperta si deve a tre fisici: Bardeen, Brattain e Shockley.

Molti furono influenzati dal loro minuscolo oggettino e si cominciò a pensare quanto si potesse continuare a rimpicciolire gli oggetti e farli funzionare non solo bene, ma anche meglio. Nel 1958, in un piccolo laboratorio, il gruppo di uno scienziato di nome Kilby si riunì accanto a un circuito elettronico disegnato interamente su un supporto in silicio cristallino, il quale fu connesso a un oscilloscopio. Lui sosteneva di poter aggregare, su una base comune, transistor, resistenze e connessioni. Fu così che quando Kilby accese l’interruttore comparve sul monitor una linea verde oscillante: era nato il circuito integrato o microprocessore. Questo tipo di tecnologie vengono chiamate planari. Il problema fu quello di disegnare su una lastra di silicio cristallino purissimo un numero davvero enorme di piccoli oggetti, i singoli transistor, usando un punteruolo estremamente affilato, e più esso sarà affilato, più transistor saranno prodotti: questo processo è chiamato litografia, quindi una vera e propria incisione del silicio. Il fondatore della Intel Robert Noyce, che fu avversario di Kilby nella scoperta al microprocessore, stimò con i dati che aveva tra il 1959 e il 1965 che la crescita della produzione dei transistor raddoppiava ogni 18 mesi, così, nel 1965, un transistor costava un dollaro e dopo dieci anni sarebbe costato solamente 1 centesimo. Le prestazioni del microprocessore passarono da 1,5 milioni di istruzioni al secondo (MIPS) nel 1979 a 50 milioni in soli 10 anni utilizzando il processore Intel, e, nel 1999, utilizzando il Pentium III, arrivarono a 1000 MIPS. Nel momento in cui battiamo una lettera, i processori contengono oltre un miliardo di transistor e lavorano a circa 10000 MIPS, ovvero effettuano circa 10 miliardi di operazioni logiche per secondo. Capiamo che per avere così tanti transistor in un singolo processore, le dimensioni dei transistor sono andate diminuendo: sono state abbattute barriere che sembravano insormontabili, prima quella del micrometro poi anche quella dei 100nm. Si stimava che per i giorni nostri i transistor avrebbero avuto una dimensione di circa 22nm, invece siamo arrivati a 10nm. I lati positivi di una riduzione infinitesimamente piccola ha dei vantaggi in termini di spazio e consumo di energia, ma aumenta la perdita di corrente, ovvero il flusso continuo di elettroni, anche quando il processore è spento. Per questo, molto spesso i microprocessori si surriscaldano, di conseguenza era necessario trovare un modo per dissipare il calore. Già con la produzione di transistor da 65nm il costo è oltre 4 miliardi di dollari, continuando a ridurre ancora di più le dimensioni prima o poi i costi diverrebbero insostenibili: quindi, il processo top-down diventa così sofisticato da essere inaccessibile.
Dopo aver considerato tutte queste dinamiche, anche la produzione dei transistor si affida al Bottom-up, dando quindi vita all’elettronica molecolare. L’idea è quella di sfruttare le dimensioni nanometriche delle molecole per sostituirle ai normali transistor: questi sistemi non solo hanno vantaggi in termini di dimensioni, ma anche riguardo la perdita di elettroni, poiché è inesistente. Il transistor, però, non è solo un semplice passaggio di elettroni, ma è un passaggio controllato, a comando, quindi è stato necessario progettare molecole i cui livelli energetici siano in grado di permettere o impedire a comando il flusso di elettroni. Se la struttura molecolare viene modificata, per esempio ruotandola da una parte, la molecola non riesce più a condurre elettricità, quindi si ottiene una sorta di interruttore modificando la molecola con l’applicazione di un debole potenziale elettrico. Il problema si riscontra nel mettere insieme miliardi di transistor molecolari e nel disporli in modo adeguato e naturale in modo tale da svolgere le azioni necessarie. Era necessario insegnare alla natura a svolgere un progetto ben preciso: ed ecco che viene introdotto il concetto di autoassemblaggio, tanto importante nelle nanotecnologie. Per questo è necessario creare molecole organiche disposte a legarsi con l’oro: questo gruppo esterno è chiamato "Tiolo" ed è formato da un atomo di zolfo legato ad atomi di idrogeno o carbonio. Per ottenere questo tipo di autoassemblaggio bisogna immergere una superficie d’oro in una soluzione con delle nostre molecole, ciascuna contenente questo gruppo particolare: le catene si legano e rivolgono il loro gruppo formato da atomi di carbonio verso la stessa parte, ottenendo così una disposizione di molecole ordinata. Ponendo un altro Tiolo e immergendolo in un’altra superficie, otteniamo un sandwich di molecole che si guidano a comando tramite impulsi elettrici rivolti alle due parti metalliche: ecco creato il nostro nuovo transistor.  

 

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